Cistite: come riconoscerla, prevenirla e curarla | Altroconsumo

2022-11-07 15:17:56 By : Mr. Buffon Liu

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Una fastidiosa sensazione di dover urinare frequentemente accompagnata da bruciore e dolore, anche dopo aver svuotato la vescica: sono i sintomi tipici di un episodio di cistite, un’infezione della vescica che colpisce in prevalenza le donne. Ma che cos'è di preciso la cistite? Da che cosa è causata? E quali sono a oggi le cure disponibili?

Le infezioni delle vie urinarie costituiscono l'infezione batterica più frequente nella popolazione femminile: circa il 60% delle donne ne soffre almeno una volta nella propria vita e di queste un quarto mostra episodi ricorrenti. La cistite è causata nella maggior parte dei casi da batteri intestinali, fra questi l’Escherichia coli è quello più comune. Si manifesta con sintomi dolorosi e fastidiosi durante la minzione che possono influire sulla qualità della vita fino ad ostacolare le normali attività quotidiane. La maggior parte delle donne presenta episodi sporadici che si risolvono spontaneamente o con l’aiuto dell’antibiotico, la cosiddetta cistite "acuta". Diversa è invece la situazione di quelle donne in cui la cistite ricorre con una certa frequenza.

In questo dossier spiegheremo quali sono le cause della cistite, quali accorgimenti è consigliabile adottare per prevenirla, e come curarla ricorrendo ai farmaci sicuri ed efficaci. Inoltre, abbiamo analizzato le prove di efficacia sull’uso preventivo degli integratori alimentari sempre più utilizzati, a base di d-mannosio, di mirtillo rosso o di probiotici, per cercare di fornirti tutte le informazioni che ti aiuti a fare una scelta consapevole.

La cistite è un’infezione delle basse vie urinarie localizzata alla vescica, l’organo che raccoglie l’urina prodotta dai reni, ed è causata nella maggior parte dei casi da batteri intestinali, in modo particolare da Escherichia Coli. Si manifesta con un bisogno continuo di urinare accompagnato da dolore e bruciore e colpisce maggiormente le donne, con una prevalenza di 3-4 volte superiore rispetto agli uomini della stessa fascia di età.

Al singolo episodio di cistite si dà il nome di cistite acuta, mentre si definisce cistite ricorrente quella che ricorre con una certa periodicità. La cistite ricorrente si manifesta con gli stessi sintomi della cistite acuta.

ma si presenta con almeno tre episodi di cistite in un anno oppure due in sei mesi. La ricorrenza non è la conseguenza di un primo attacco acuto non curato bene: nella maggior parte dei casi si tratta infatti di un episodio nuovo.

Le reinfezioni sono più frequenti con l’aumentare dell’età della paziente, anche se a soffrirne sono anche le donne giovani per via della loro attività sessuale. La probabilità di cistiti ricorrenti cresce con il crescere del numero degli episodi precedenti, mentre diminuisce tanto più lungo è stato l’intervallo tra gli episodi precedenti.

La cistite si definisce “non complicata” quando si manifesta in persone sane e con un apparato urinario normale, che non presentano segni della propagazione dell'infezione ad altre parti del corpo; al contrario si definisce “complicata” quando si manifesta in persone che presentano alterazioni dell'apparato urinario o hanno altri fattori di rischio (portatori di catetere,  donne in gravidanza, malati con insufficienza renale, ecc.).

Sebbene la cistite possa colpire chiunque, bambini inclusi, a soffrirne di più sono le donne. Si stima che il’11% delle donne vada incontro ogni anno circa ad almeno un episodio di infezione del tratto urinario e che più della metà della popolazione femminile ne soffra almeno una volta nel corso della vita. L’incidenza aumenta con l’età: è molto bassa nell’età prepuberale mentre aumenta con l’inizio dell’attività sessuale e durante la gravidanza, e continua ad aumentare dopo la menopausa. Nelle giovani donne le cistiti, in modo particolare quelle ricorrenti, sono legate ai rapporti sessuali che facilitano la migrazione dei batteri verso le vie urinarie.

La maggiore suscettibilità della donna rispetto all’uomo è legata alla brevità dell’uretra, il canale che dalla vescica porta le urine fuori dal corpo, e alla stretta vicinanza dell’orifizio uretrale esterno (il foro da cui la pipì viene espulsa all’esterno) alla vagina e all’ano, aree normalmente popolate da batteri.

Risulta quindi più facile per i batteri intestinali che fuoriescono dall’ano risalire l’uretra e raggiungere e colonizzare la vescica causandone l’infezione. Anche la gravidanza è considerato un fattore di rischio per la cistite. Per maggiori dettagli leggi anche la sezione Fattori di rischio.

Come si riconosce un attacco di cistite? Dai sintomi che si avvertono, tra i quali tre sono quelli più caratteristici:

In alcuni casi compaiono anche la necessità di urinare durante la notte (Nicturia), il dolore o dolenza nella parte bassa dell’addome, oltre che fastidio, crampi o senso di pesantezza, urine torbide e mal odoranti, la presenza di sangue nelle urine (Ematuria). In rari casi febbre, brividi e malessere.

La durata media dei sintomi va dai 3 ai 7 giorni. Le caratteristiche che sono state associate a un decorso più prolungato rispetto alla media includono una storia di somatizzazione o di cistite precedente, e la presenza di sintomi più gravi.

Sebbene la cistite tenda a risolversi spontaneamente, un trattamento farmacologico efficace permette di ridurre la durata dei sintomi durante. Per maggiori dettagli leggi anche la sezione Cura della cistite.

La maggior parte delle infezioni delle vie urinarie è dovuta a batteri intestinali che penetrano nell’uretra e successivamente nella vescica. Sono più comuni nelle donne per le ragioni anatomiche descritte nella sezione Chi è maggiormente colpito?, in sintesi perché il tragitto che i batteri compiono è più corto.

Normalmente, l’organismo è in grado di eliminare i batteri intestinali eventualmente arrivati nella vescica: alcuni meccanismi naturali come il flusso unidirezionale dell’urina, la sua l’acidità e lo svuotamento frequente e completo, aiutano per esempio a contrastare le infezioni.

Tuttavia, quando questi meccanismi di difesa falliscono, il batterio inizia a colonizzare la vescica. Sebbene nella maggior parte dei casi l’infezione rimane confinata nella vescica, in pochi casi i batteri possono risalire e invadere anche il tratto urinario superiore.

Tra i maggiori responsabili della cistite vi è Escherichia coli, un batterio che risiede normalmente nel tratto digerente delle persone sane ma che, in alcune condizioni, può infettare l’ospite. Si stima che dal 75 al 90% delle infezioni del tratto urinario siano causate da E. Coli. Le restanti infezioni sono causate da Staphylococcus saprophyticus, specie Proteus o Klebsiella, Enterococcus faecalis, altre Enterobacteriaceae. Più raramente da lieviti, come la Candida albicans.  

Secondo diversi studi sarebbe l’alterazione della flora vaginale, e in particolare la carenza di lattobacilli, a predisporre alcune donne alla colonizzazione da parte dei batteri intestinali e all’insorgenza di infezioni urinarie.

Sebbene le cause della cistite siano di natura infettiva, ci sono diversi fattori biologici, genetici e comportamentali che sembrano predisporre alcune donne alla cistite, acuta o ricorrente.

Alcuni di questi fattori possono variare a seconda dell’età della donna. Nelle più giovani, oltre a eventuali anomalie congenite potrebbe avere un ruolo l’inizio dell’attività sessuale. Con l’avanzare dell’età, invece il calo fisiologico degli estrogeni e l’atrofia del tessuto vaginale fanno aumentare il tasso di infezioni urinarie.

La preferenza di quest’infezione per il sesso femminile è dovuta alla conformazione dei genitali esterni e alla brevità dell'uretra (3 cm nelle donne rispetto ai 15-16 cm del maschio). La vagina e la regione intorno all’uretra vengono più facilmente in contatto con la flora fecale, per la vicinanza con l’ultima parte dell’intestino e la brevità dell’uretra facilita la risalita dei batteri verso la vescica.

In condizioni normali l’area intorno alla vagina è resistente alla colonizzazione batterica: la microflora normalmente presente, fatta di batteri, lattobacilli e lieviti che convivono in equilibrio fra di loro, mantengono un ambiente acido costante, impedendo l’aggressione dei batteri provenienti dal serbatoio intestinale. Ma il diverso clima ormonale legato alle varie fasi della vita di una donna modifica questo microsistema, predisponendo all’instaurarsi di un ambiente più facilmente aggredibile dai batteri provenienti dall’intestino. Questo vale in particolare nell’infanzia e nella pre-adolescenza, quando manca la protezione da parte di un ambiente vaginale acido come quello della donna adulta; in gravidanza, quando le modificazioni ormonali tipiche della gestazione predispongono maggiormente alle infezioni urinarie; senza contare che l’aumento del progesterone diminuisce il tono dell’uretere e dell’uretra alterandone la normale peristalsi (contrazione coordinata e finalizzata all’espulsione dell’urina). In menopausa il tessuto vaginale tende ad atrofizzarsi (si riduce il suo spessore e la sua elasticità a causa del calo di estrogeni) e si riduce la flora batterica vaginale, prima barriera contro i batteri nocivi. Inoltre, a livello delle vie urinarie, soprattutto nei tessuti che rivestono e sostengono la vescica, ci può essere un cedimento della muscolatura del pavimento pelvico, con prolasso della vescica (cistocele); il prolasso compromette il completo svuotamento della vescica che faciliterebbe lo sviluppo di frequenti episodi infettivi o infiammatori.

In diversi studi osservazionali è stata descritta l’associazione fra alcuni stili di vita e l’aumentato rischio di infezioni delle basse vie urinarie: assunzione di pochi liquidi durante la giornata, svuotamento irregolare della vescica, trattenimento delle feci, uso di biancheria intima di materiale sintetico piuttosto che di cotone, indumenti e pantaloni attillati e molto altro. Sulla base di queste osservazioni nel tempo si è diffusa l’abitudine di fornire raccomandazioni allo scopo di prevenire o ridurre questo tipo di infezione: urinare dopo i rapporti sessuali e aumentare l’assunzione di liquidi sono fra quelle più frequentemente citate. In realtà siamo in assenza di prove di evidenza in questo campo e dunque questo tipo di consigli, sono basati più sulla tradizione che su vere dimostrazioni di efficacia. I dati sono più convincenti per quanto riguarda un’associazione positiva fra la maggior frequenza di cistite e l’uso del diaframma e di creme o gel spermicidi, probabilmente perché alterano la flora batterica vaginale e permettono la proliferazione dei batteri comunemente responsabili delle cistiti.

Tra i fattori che possono scatenare la cistite vi sono inoltre alcune procedure mediche o malattie come: inserimento del catetere vescicale attraverso cui si insinuano batteri in vescica; calcoli nelle vie urinarie, che ostruiscono il normale flusso dell’urina e ostacolano l’eliminazione di eventuali batteri entrati nelle vie urinarie; storia di infezioni del tratto urinario; anomalie anatomiche congenite a livello dei reni, vescica o del tratto urinario; diabete mellito; obesità; indebolimento del sistema immunitario a causa di malattie (es AIDS) o di farmaci immunosoppressori.

In generale, quando l’infezione si localizza a livello delle basse vie urinarie (cistite), la sintomatologia più caratteristica è rappresentata da disuria, frequenza e urgenza minzionale e, occasionalmente, dolore alla pressione della zona sovra pubica. Raramente è presente febbre. Le linee guida consultate sono concordi nell’affermare che nelle donne adulte sane in presenza di questi tre sintomi la diagnosi di cistite è clinica, basata quindi sul rilievo di segni e sintomi clinici, e non su parametri di laboratorio. Test che suggeriscono o provano la presenza di batteri o di leucociti (segno di infezione) nelle urine possono fornire informazioni aggiuntive, ma quasi mai sono fondamentali per la diagnosi. Inoltre, la presenza di batteri nelle urine in assenza di sintomi (la cosiddetta batteriuria asintomatica, scoperta in seguito all’esecuzione di un’urinocoltura), non è una malattia e non va ricercata né curata, tranne che nelle donne in gravidanza o prima di un intervento urologico.

Quando i sintomi compaiono per la prima volta meglio consultare il proprio medico, perché si possa fare una diagnosi corretta e si possano escludere eventuali altri problemi di salute che, pur manifestandosi con una sintomatologia simile, possono essere di pertinenza di altri organi ed apparati (per esempio patologie dell’apparato riproduttivo femminile – ovaio, utero, vagina). Una volta inquadrato il problema con il medico, poi farà parte del bagaglio culturale della singola donna che, essendo in grado di riconoscere in seguito l’eventuale ricomparsa del problema, saprà cosa fare. Ovviamente se la ricomparsa del problema comporterà modalità o sintomi nuovi o diversi da quelli dell’episodio precedente, il riferimento sarà sempre il medico curante.

Nelle donne con sintomi atipici o con particolari patologie o in stato di gravidanza, il medico può ritenere opportuno eseguire degli esami appropriati come urinocoltura e antibiogramma.

L’urinocoltura è l’esame delle urine che serve a identificare la presenza di batteri e a definirne la specie. Una volta identificata la specie, l’antibiogramma è il test di laboratorio che ricerca tra i vari antibiotici quello più adatto a uccidere il germe trovato nelle urine.

L’utilizzo dell’urinocoltura per fare diagnosi di cistite solleva numerosi dubbi.

Quando si parla di colonia batterica si intende gli aggregati di batteri che si possono contare su una piastra di coltura.

Nei casi dubbi generalmente viene invitata la persona a eseguire nuovamente l'esame perché vi è il sospetto che il campione di urina non sia stato rac­colto correttamente, ma che sia inquinato per problemi che nulla hanno a che fare con il sospetto di malattia. Inoltre, nel caso di inquina­mento dell’urina raccolta, i batteri identificati appartengono a più famiglie diver­se tra loro, mentre nel caso di batteri presenti in un campione giudicato positivo all’urinocoltura, si tratta di batteri appartengono a non più di due specie diverse.

Purtroppo, succede spesso che si faccia diagnosi di cistite o, in senso più lato, di infezione delle vie urinarie e che si instauri conseguentemente un trattamento antibiotico sulla base di un riscontro occasionale di batteriuria e/o leucocituria in un esame di controllo.

L’esecuzione di esami delle urine (stick, esame microscopico, urinocoltura) eseguiti di routine e non guidati dai sintomi andrebbe evitata dal momento che:

Per quanto detto, è estremamente importante ricorrere all’urinocoltura solo quando ce ne sia reale necessità, per evitare di porre diagnosi errate di infezioni delle vie urinarie ed esporre soggetti sani a terapie antibiotiche non necessarie.In base ai dati presenti in letteratura, le linee guida raccomandano che, nel caso di cistite acuta in una donna adulta non gravida e in assenza di patologie concomitanti (per esempio il diabete), l’urinocoltura debba essere richiesta solo se la situazione non migliora dopo trattamento antibiotico empirico (cioè eseguito sin assenza di esami di laboratorio) o se c’è una ricaduta (ricomparsa dei sintomi dopo una fase di risoluzione) entro due settimane dalla fine del trattamento o in caso di sintomi come febbre o dolore al fianco/schiena per il sospetto di una pielonefrite (infezione delle vie urinarie alte, che può coinvolgere anche il rene).

Questa raccomandazione è basata su metanalisi di studi diagnostici, trasferibili alla popolazione generale. La raccomandazione è facilmente applicabile ed è in grado di ridurre il ricorso all’urinocoltura; dunque riduce anche i disagi, i tempi di attesa e l’impegno economico (sia per la donna che per il sistema sanitario).

Tra gli strumenti diagnostici rientrano anche gli stick per le urine, possono essere eseguiti sia in ambulatorio da personale medico e paramedico sia a domicilio acquistandoli in farmaci o online.

Si tratta di strisce reattive costituite da un supporto di plastica rigido su cui sono fissati i cosiddetti tasselli reattivi: questi contengono reagenti enzimatici capaci di produrre variazioni colorimetriche quando si immerge la striscia nell’urina. La variazione di colore è conseguente al contatto con determinate sostanze contenute nelle urine. Il colore assunto dall'area reattiva viene confrontato con quello di una scala colorimetrica di riferimento presente sulla confezione. Fra i tanti parametri che si possono valutare con questa tecnica, prendiamo in considerazione i due normalmente utilizzati nel caso di sospetta cistite. Uno è quello per i nitriti: il test si basa sulla capacità di alcuni batteri, fra cui Escherichia Coli, di trasformare i nitrati di origine animale presenti nelle urine in nitriti; dunque, è un indice indiretto di presenza di batteri. L’altro, la misura dell’esterasi leucocitaria, è anch’esso una prova indiretta della presenza di batteri: individua le esterasi rilasciate dai globuli bianchi degradati ed è considerato un indice di infiammazione. Se i risultati sono negativi per entrambe i test la presenza di cistite è considerata improbabile; viceversa, se i test risultano positivi.

Sebbene si tratti di un tipo di diagnostica molto pratica per la semplicità di esecuzione e la velocità con cui rilascia i risultati, in realtà risulta essere tutt’altro che accurata pertanto di dubbia utilità.

Come abbiamo spiegato nelle sezioni precedenti la cistite è dovuta a un’infezione batterica che potrebbe essere scatenata da alcune abitudini o comportamenti scorretti. Sebbene non ci siano prove di efficacia in letteratura a conferma che la correzione di questi comportamenti si associ a una riduzione del rischio di cistite, trattandosi di pratiche di buon senso e che non comportano né rischi per la salute né aggravi di spesa, vale la pena provare:

Trattandosi di un’infezione batterica, la cistite è curata con gli antibiotici che, come indicano gli studi, permettono di eradicare l’infezione e accorciare la durata dei sintomi. Tuttavia, nell’ottica di una riduzione dell’uso indiscriminato di antibiotici, e per contrastare il drammatico problema dell’aumento dell’antibiotico resistenza, le donne sane e che non presentano segni di coinvolgimento dell’infezione nel tratto superiore (es febbre o dolore al fianco/schiena) potrebbe considerare di aspettare che l’infezione passi da sola, e di alleviare i sintomi con l’uso di anti-infiammatori (per esempio l’ibuprofene) o di paracetamolo. Nelle persone sane, infatti, la cistite tende a guarire spontaneamente e senza ulteriori complicazioni entro una settimana.

Qualora invece i sintomi peggiorassero o dopo una settimana non migliorassero, bisognerebbe rivolgersi al medico per valutare il bisogno di una terapia antibiotica. Generalmente, in donne senza patologie di base con due o più sintomi tipici della cistite (disuria/pollachiuria/urgenza di urinare) e in assenza di perdite e prurito vaginale, è indicato il trattamento antibiotico empirico senza ricorso preventivo all’urinocoltura.

Un trattamento antibiotico di 3 giorni è la terapia raccomandata attualmente per la cistite batterica acuta non complicata, che negli studi ha mostrato tassi di eradicazione batterica superiori al 90%. Relativamente alla scelta dell’antibiotico, il sulfametoxazolo + trimetoprim (es Bactrimel) disponibile come sospensione orale da assumere due volte al giorno per tre giorni, è considerata la terapia preferita, che negli studi ha mostrato un tasso di eradicazione batterica del 94%; tuttavia preoccupa l’aumento dell’antibiotico resistenza associata a questo antibiotico, e nelle aree in cui la resistenza supera il 15-20%, dovrebbe essere scelta un'altra molecola.

Sebbene vi siano diverse molecole indicate per le infezioni del tratto urinario, tra le terapie di prima scelta vi è la fosfomicina trometamolo (es Monuril o Fosfomicina DOC) 3 grammi, si assume in dose singola come granulato per soluzione orale. Presenta il vantaggio della mono somministrazione che favorisce la compliance al trattamento ed è associato a una bassa resistenza batterica. In alternativa, si può assumere una terapia più lunga con nitrofurantoina (es Neo furadantin o Furecis) disponibile in capsule da 50-100 mg, da assumere 4 volte al dì per 3-7 giorni. Gli studi indicano che più efficace se preso per 7 giorni rispetto ai 3 giorni. Ha una bassa resistenza, pertanto è particolarmente utile nelle aree in cui vi è un’alta resistenza alla terapia di prima scelta. E’ stato dimostrato che se le urine sono più acide, il farmaco ha una maggior efficacia, pertanto le donne che assumono nitrofurantoina per una cistite non dovrebbero assumere contemporaneamente prodotti alcalinizzanti come il citrato di potassio (contenuto in diversi integratori). E’ bene sapere che durante l’assunzione di nitrofurantoina le urine possono assumere una colorazione bruna: non ci si deve preoccupare di questo fatto.

In caso di mancato miglioramento clinico a seguito della terapia con fosfomicina, sulfametoxazolo + trimetoprim o nitrofurantoina si raccomanda di eseguire una urinocoltura. Sulla base dell’antibiogramma il medico raccomanderà l’antibiotico di seconda scelta più opportuno.

Tra antibiotici indicati nelle infezioni del tratto urinario, vi sono anche quelli a base di ciprofloxacina, norfloxacina, levofloxacina, e gatifloxacina. Questi ultimi noti come fluorochinoloni, sebbene altamente efficaci, non dovrebbero essere usati come farmaci di prima linea per il trattamento della cistite acuta non complicata, sia a causa di possibili effetti collaterali gravi, seppure rari (tendiniti, rottura dei tendini) sia perché è in aumento il livello di resistenze di E. Coli ai fluorchinoloni.

La maggior parte degli esperti ora concorda sul fatto che l'uso di sulfamidici, ampicillina e amoxicillina è meno efficace dell'uso di trimetoprim-sulfametossazolo e fluorochinoloni e non dovrebbe essere utilizzato come terapia di prima linea. Le aminopenicilline, anche in combinazione con inibitori delle beta-lattamasi (es. amoxicillina/acido clavulanico) non sono efficaci nel trattamento short-term, inoltre, le line guida del 2021 della associazione europea degli urologi non raccomandano di utilizzare questi antimicrobici in modo empirico a causa della resistenza sviluppatasi a livello mondiale nei confronti dell’ E. Coli.

Trattandosi di farmaci da prescrizione vanno assunti dopo aver consultato il medico. No all’assunzione fai da te dell’antibiotico.

Per molte donne la cistite è un problema ricorrente; dopo che è stata curata, l’infezione si ripresenta. Si può parlare di cistite ricorrente quando ci si trova ad affrontare almeno due episodi nell’arco di sei mesi o almeno tre nel corso di un anno.

La gran parte delle donne che ha avuto un episodio acuto di cistite soffrirà, nel corso della sua vita, di un secondo episodio. Secondo un recente studio che il 27% delle donne che hanno avuto un episodio di cistite ha una recidiva confermata entro i successivi 6 mesi e il 2,7% ha una seconda recidiva nello stesso periodo di tempo. Le infezioni ricorrenti rappresentano un problema fastidioso per le donne che ne sono affette; sono inoltre causa di frequenti visite ambulatoriali e di elevato ricorso a esami di laboratorio da parte del personale sanitario. Infine, i trattamenti antibiotici ripetuti che si instaurano in questi casi contribuiscono all’aumento delle resistenze dei germi urinari ad antibiotici di uso comune (vedi sezione Antibiotico-resistenza). Secondo le conoscenze oggi disponibili, le cistiti ricorrenti sono più frequenti fra le donne giovani con tratto urogenitale normale, nelle quali sono legate soprattutto ai rapporti sessuali. Altri fattori di rischio sono l’utilizzo del diaframma e degli spermicidi. Un altro gruppo a rischio di ricorrenze è rappresentato dalle donne in menopausa, nelle quali il ridotto livello di estrogeni si associa ad assottigliamento e maggiore secchezza della mucosa vaginale, vescicale e uretrale che può contribuire alla ricorrenza delle infezioni.

Quali sono le opzioni a disposizione delle donne che soffrono di cistite ricorrente per prevenire le recidive? L’intervento di prima linea per la prevenzione delle recidive è la profilassi con l’antibiotico o in alternativa seguire una terapia antibiotica intermittente. Dal momento che l’antibiotico-resistenza sta diventando un problema sempre più serio, medici e pazienti sono alla ricerca di trattamenti alternativi da utilizzare per prevenire le ricorrenze. Il mercato pullula di integratori, dispositivi medici e altri ritrovati, con diversi principi attivi come mirtillo rosso, D-mannosio, lactobacillus, e a diverse concentrazioni. La loro reale efficacia non è certa. I risultati degli studi sono controversi: alcuni hanno rilevato dei benefici, altri nessuno. La qualità degli studi non è ottimale: ci sono pochi studi e di dimensioni limitate, spesso l’efficacia del trattamento non è confrontata con l’effetto di un placebo. Per questi motivi le prove che ne confermino l’utilità non sono considerate solide e non è possibile dare raccomandazioni per il loro uso. Tra l’altro ne vanno considerati i costi: per esempio una profilassi a base di integratori al mirtillo rosso della durata di qualche mese può arrivare a costare diverse centinaia di euro.  Tra i rimedi “naturali” contro la cistite vi sono anche numerosi fitoterapici a base di erbe ad azione antiinfiammatoria o antisettica come echinacea, uva ursina, ginepro, il tarassaco, malva, sambuco, i semi di pompelmo, le cui proprietà sono emerse da studi in vitro o su animali. Tuttavia, mancano conferme scientifiche. Ricordiamo inoltre che alcuni di questi prodotti potrebbero interagire con alcuni farmaci, annullandone o diminuendone l’effetto farmacologico o potenziandone la tossicità. Per questo motivo se si assumono farmaci in concomitanza controllare il foglietto illustrativo del farmaco o chiedere consiglio a medico /farmacista.

Tutti questi prodotti, dunque, si propongono come alternativa all’unico presidio che fino a oggi le evidenze scientifiche hanno dimostrato essere efficace: una corretta terapia antibiotica, con lo scopo di limitarne il ricorso e il ridurre il rischio di effetti collaterali a cui espongono. Purtroppo, però, i dati mostrano che il ricorso agli antibiotici una volta che l’infezione è in corso e a maggior ragione se diventa ricorrente, è molto spesso necessario. A maggior ragione, puntare quanto possibile sulla prevenzione è importante: bere di più, almeno 2 litri di acqua e cercare di svuotare spesso la vescica, mantenere un’alimentazione sana ed equilibrata, urinare dopo i rapporti sessuali ed evitare il ricorso a diaframma e spermicidi. La corretta igiene intima, anche dopo i rapporti sessuale, può fare la sua parte.

L’uso del mirtillo rosso, noto anche con il nome inglese cranberry, nella profilassi delle cistiti ricorrenti è cresciuto negli ultimi anni. Il meccanismo con cui il mirtillo contribuirebbe alla prevenzione o al trattamento delle infezioni delle vie urinarie non è noto con esattezza. Sembra che agisca principalmente impedendo l'adesione dei batteri patogeni (come l'Escherichia coli) all'epitelio delle vie urinarie grazie all’azione di alcune sostanze che si chiamano proantocianidine, con conseguente inibizione o riduzione della carica infettiva. Alcuni studi su donne a rischio di infezioni mostrano che i prodotti a base di mirtillo rosso riducono il rischio di infezioni delle vie urinarie di circa un terzo. Mentre studi in alcune popolazioni come gli anziani in cura a lungo termine e le donne in gravidanza, hanno avuto risultati incoerenti e studi in altre popolazioni ad alto rischio, come le donne sottoposte a interventi ginecologici o le persone con sclerosi multipla, non ho trovato beneficio derivante dall’assunzione di mirtillo rosso. Sebbene esistano meccanismi biologici del mirtillo rosso plausibili per un tale effetto, gli studi sull’uomo ad oggi disponibili non ci permettono di affermare in maniera definitiva l'efficacia nella prevenzione della cistite ricorrente. La stessa Food and Drug Administration statunitense, nel 2020 dopo aver analizzato la letteratura a disposizione ha definito "limitate e incoerenti" le prove a sostegno della riduzione del rischio di infezioni delle vie urinarie ricorrenti a seguito del consumo di integratori alimentari di mirtillo rosso.

Per quanto riguarda la sicurezza, i prodotti a base di mirtillo rosso sono generalmente considerati sicuri. Tuttavia, se consumati in quantità molto elevate, possono causare disturbi allo stomaco e diarrea, in particolare nei bambini piccoli. Poco si sa se sia sicuro usare il mirtillo rosso durante la gravidanza o l'allattamento. Inoltre, potrebbe interagire con l'anticoagulante (fluidificante del sangue) warfarin. Resta inoltre da chiarire il potenziale beneficio del mirtillo rosso in termini di tipo di prodotto (solido vs liquido), dosaggio e popolazione ottimale di pazienti. Alla luce della letteratura scientifica disponibile, non possiamo suggerire l'assunzione giornaliera di questo tipo di prodotti.

Tra le varie proprietà vantate dai probiotici (https://www.altroconsumo.it/salute/farmaci/consigli/fermenti-lattici ) vi è anche quella di prevenire il rischio di infezioni urinarie. In modo particolare quelli a base di lactobacillus sarebbero impiegati per il loro possibile effetto protettivo contro la colonizzazione della vagina da parte di batteri dannosi in quanto in grado di produrrebbe sostanze in grado di acidificare la mucosa vaginale. Gli studi disponibili sono stati effettuati su numeri troppo piccoli di pazienti e sono scarsamente informativi, perciò, anche se non si può escludere che i probiotici apportino dei benefici, seppur minimi, non si è in grado di confermarli; sono stati riscontrati effetti collaterali, dall’irritazione genitale alla diarrea. Una recente meta-analisi che ha combinato i dati di diversi studi pubblicati in letteratura non mostra alcun vantaggio convincente dei prodotti a base di lactobacillus come profilassi per la cistite ricorrente. Esistono differenze di efficacia tra i vari preparati disponibili che suggeriscono che sono necessari ulteriori studi prima di poter formulare qualsiasi raccomandazione definitiva a favore o contro il loro uso.

D-mannosio: Recentemente, il mannosio è stato proposto come rimedio naturale per prevenire le cistiti ricorrenti. Si tratta di uno zucchero che si trova naturalmente in frutta e verdura come pesche, mele, mirtilli, fagiolini, cavoli e pomodori. Ricerche preliminari suggeriscono che il D-mannosio potrebbe bloccare la proliferazione dei batteri nel tratto urinario impedendone l’adesione alla mucosa della vescica. Nonostante sia tra i ritrovati più promettenti, i dati pubblicati fino a ora sulla sua efficacia nel prevenire la cistite sono scarsi e poco convincenti, non si sa infatti quali livelli di D-mannosio nell’urina potrebbero avere un effetto protettivo né se la sua assunzione per via orale, nelle dosi raccomandate dai produttori, consenta di raggiungerli. Bisognerà aspettare altri studi prima di giungere a conclusioni esaustive e raccomandarlo nella prevenzione della cistite.

Alcalinizzazione urinaria, un trattamento volto a rendere le urine più basiche, dovrebbe ostacolare l’adesione dei batteri alla mucosa della vescica. L’efficacia di questa strategia manca il sostegno di solide prove scientifiche mentre sono stati riconosciuti alcuni effetti collaterali tra cui nausea, flatulenza, aumento della diuresi

Anche nel caso della cistite ricorrente, la terapia antibiotica si conferma la terapia più efficace, in grado di prevenire fino al 95% delle recidive. Tuttavia, l’uso prolungato di antibiotici induce la comparsa di effetti collaterali e favorisce l’antibiotico-resistenza, che costituisce un problema molto diffuso e attuale, in continua crescita in tutto il mondo. Per questo bisognerebbe evitare l’uso eccessivo di antibiotici, e cercare di prevenire la cistite anche mediante l’adozione di buone pratiche comportamentali.

Per quanto riguarda la scelta dell’antibiotico, sono raccomandate le stesse molecole utilizzate nella gestione della cistite acuta, quello che cambia è la modalità di assunzione.

Non c’è un solo modo per assumere antibiotici in funzione preventiva contro la cistite ricorrente, ma ve ne sono tre: la profilassi quotidiana continuativa, la profilassi postcoitale e il trattamento antibatterico avviato dalla paziente.

Sebbene rappresenti la terapia più efficace nella cura della cistite, le pratiche di prescrizione indiscriminata di antibiotici ha delle conseguenze serie che non vanno sottovalutate: l'emergere della resistenza antimicrobica, capacità di un batterio di non risentire dell’azione di un farmaco antibiotico. Un problema di particolare rilievo per la tutela della salute pubblica a livello globale.

Gli effetti della resistenza, ovvero l’incapacità degli antibiotici, somministrati alle dosi terapeutiche, di ridurre la sopravvivenza di inibire la replicazione dei batteri patogeni, sono osservabili in tutte le regioni del mondo. Negli ultimi anni il fenomeno si è notevolmente aggravato anche a causa dell’aumentato uso, talvolta inappropriato, di questi farmaci.

Le istituzioni europee da anni hanno lanciato l’allarme e hanno invitato gli Stati membri a realizzare campagne di sensibilizzazione per contrastare questo fenomeno. Fattore determinante nello sviluppo dell'antibiotico-resistenza è l'incremento dei consumi: si è ancora lontani da un approccio consapevole e corretto all'uso di questi farmaci da parte della popolazione (come dimostrano le molteplici inchieste delle istituzioni), ma evidentemente anche da parte della classe medica. L’uso inappropriato di antibiotici ha portato alla crescita di questo problema soprattutto in Italia dove la resistenza agli antibiotici è al di sopra della media europea.

Anche perché, come testimoniano i dati dell’ultimo Rapporto Osmed, che ha monitora il consumo degli antibiotici in Italia nel 2020, il consumo territoriale di questi farmaci si è mantenuto superiore alla media europea, nonostante la marcata contrazione rispetto all’anno precedente.

Altroconsumo ha redatto un manifesto in tre punti, che è possibile sottoscrivere sul nostro sito. Scopo dell’iniziativa è stimolare ciascuno di noi a mettere in pratica comportamenti virtuosi nell’uso di antibiotici e al contempo spronare produttori, istituzioni e industrie farmaceutiche a fare la propria parte.

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